giovedì 21 gennaio 2010

On-line or in-side the meaning?

Riporto una ricerca citata da un articolo di Repubblica, svolta sugli adolescenti dei paesi industrializzati, dove si riporta che essi passano sempre più ore in rete. In 10 anni si è passati dalle 6 e mezza alle 12 del 2010, sottraendo così ore al sonno e alle relazioni in presenza. Le nuove modalità di vita, comunque da capire più che da giudicare, portano ad un aumento del Q.I. e portano i ragazzi a possedere abilità di multitasking. Gli intervistati dicono "di aver bisogno di messaggi da scambiare".
La neurobiologa Annamaria Ronconi, direttrice del "Laboratorio sul talento e la plusdotazione", afferma che la "vera sfida è quella della concentrazione", in un contesto bombardato di informazione e stimoli. Il rischio maggiore si verifica quando la "tecnologia smette di essere uno strumento e diventa un interfaccia della realtà, non più un mezzo, ma un fine, dove le vite virtuali portano ad identificarsi in esse. La deriva è mossa anche dagli imponenti interessi economici, che non considerano la salute primaria rispetto al profitto. I giovani così formati "sono precoci nell'amore e nel sesso, perchè tropo acerbamente esposti a contenuti riservati agli adulti". Eppure "quando ogni sera scaricano il loro i-pod con la musica che li accompagnerà il giorno successivo, è come se scrivessero la colonna sonora delle proprie emozioni, per entrare in contatto con se stessi".
Dopo aver letto l'articolo, mi immedesimavo nella figura del giovane protagonisata del testo "Sull'avvenire delle nostre scuole" di F. Nietzsche, e udii il vecchio filosofo dire, dal nascosto del bosco: "Quanta barbarie! L'affermazione egoistica del sè non è cultura che forma l'uomo, questi deve uscire da sè sotto la guida del genio, per sostare nella cultura stessa e poi ridiscendere a uomo fresco di sensibilità". A quel punto, nella mia mente, intervenne anche Stirner, che affermò "L'uomo nuovo è colui che sublima il sapere in sè, va oltre di esso e diventa spirito, volontà libera. Egli è colui che racchiude tutto il sapere nell'attimo di una decisione, di un sentire". Ritornando in me posso domandarmi: che connessione è quella che ci lascia il vuoto del pieno di sè? Dove portano abilità potentissime quali l'accresciuta intelligenza e il multitasking, se esse rimangono possibilità e non si esercitano in qualcosa? E' ricchezza quella pienezza che è l'estrema povertà dell'ego che si crede assoluto e vuole essere oggettivo ed estendibile anche agli altri, proprio in virtù della sua deleteria autoreferenzialità? Dov'è quella vera conoscenza che, mossa dal disinteresse, fa apparire le cose per quelle che sono e non per quello che l'io attribuisce loro, magari sulla scorta della propria bassezza di natura vergine, non ancora trasformata da ciò che è altro da lui? Dov'è quella profondità, irraggiungibile considerando la spoporzione (dovrebbe essere il contrario) tra le 12 ore di connessione e il resto della giornata? 12 ore che fanno galleggiare in superficie invece di toccare lo Zenith per poi ridiscendere persone nuove?

2 commenti:

  1. Gran bel post Davide :D , mi è piaciuto molto come hai saputo problematizzare le "nuove abilità" nelle'era tecnologica, il cuore del pensiero mi pare di coglierlo nel SENSO che le nuove tecnologie dovrebbero dare al nostro mondo. Sbaglio? Mi pare di capire che è importante che la tecnologia resti un mezzo e non diventi un fine giusto?

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  2. Il problema è quello del senso, che dovrebbe essere un risultato della sublimazione da parte dell'uomo, che così diventa soggetto, del dato oggettivo. L'uomo, a mio avviso,deve astrarre il senso a partire dalle cose, in un processo che le oltrepassa. Perciò ci devono per forza essere degli elementi su cui poggiare e far partire questo processo di oltrepassamento, altrimenti le capacità diventano vacue e fini a se stesse, con gran scorno dell'umanità intera, che resta dimentica di sè.

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